Osservazione e valutazione di un allenamento di atletica leggera tramite eye-tracker

Negli ultimi anni molte delle tecnologie nate nei laboratori di ricerca – ed utilizzate quasi solo ed esclusivamente in ambito sperimentale – sono state applicate con successo anche in ambito professionale. Ma come hanno fatto queste tecnologie ad “uscire” dai laboratori? Una delle motivazioni principali è che gli strumenti si stanno modernizzando in modo tale da essere sempre meno invasivi ed ingombranti. Uno di questi è l’eye tracker, che viene applicato sempre più spesso soprattutto in ambito di professional performance. Utilizzare l’eye-tracker nella professional performance porta infatti con sé diversi vantaggi, fra cui:

 

Formazione o skill transfer: osservazione diretta dei comportamenti degli esperti per favorire un più facile trasferimento di abilità ai principianti;

 

Valutazione: verifica delle competenze, del livello di expertise e del potenziale per lo sviluppo di una formazione mirata;

 

Sicurezza: monitorare l’ambiente fisico per individuare criticità e prevenire rischi e incidenti;

 

Produttività: ottimizzazione dei processi tramite accurate ispezioni visive.

 

In questo case study, ci siamo concentrati sulla performance sportiva di alcuni professionisti della Polisportiva Tethys di Chieti, specializzati nelle discipline legate all’atletica leggera.

In questo articolo:

Gli obiettivi della nostra ricerca

Il nostro interesse di ricerca si concentra sul primo punto e sul secondo punto, ovvero formazione o skill transfer e valutazione. Lo scopo era quello di verificare differenze fra allenatori esperti e principianti durante delle sessioni di allenamento di atletica leggera, nella cornice suggestiva di Roccaraso, durante un ritiro della squadra. Utilizzando lo strumento eye-tracker, abbiamo quindi coinvolto tre partecipanti suddividendoli per livello di expertise:

 

– Alta: il partecipante era un allenatore molto esperto

 

– Media: il partecipante era un allenatore esperto, ma ancora in formazione

 

– Bassa: il principiante era un non esperto, con nessuna conoscenza nel campo dell’atletica leggera

La metodologia che abbiamo scelto

Esercizi selezionati

Così suddivisi, ai partecipanti è stato chiesto di giudicare a turno una serie di esercizi svolti dagli atleti, che presentavano diversi livelli di difficoltà:

 

Girate (Figura 1): è un esercizio che si esegue con l’ausilio di un bilanciere, che viene afferrato da terra con presa prona, sollevato flettendo leggermente le ginocchia – fino a raggiungere una posizione di squat – e posizionato poco sopra i pettorali e lo sterno. Si passa poi ad una fase di discesa, per tornare alla posizione di partenza e riportare il bilanciere a terra.

 

Squat (Figura 3): con il bilanciere questa volta già posizionato sulle spalle, l’esercizio si svolge iniziando una discesa spostando il bacino all’indietro, come se ci si volesse sedere. Durante questa discesa, le ginocchia devono rimanere perpendicolari al piede. Si effettua poi la risalita, mantenendo sempre la schiena ben allineata.

 

Skip (Figura 2): è una corsa sul posto a ginocchia alte. Le spalle devono essere tenute ferme durante tutta l’esecuzione, muovendo le braccia in contrapposizione alle gambe, ovvero se viene sollevata la gamba sinistra, viene portato avanti il braccio destro.

 

Nella nostra ipotesi, l’allenatore più esperto sarebbe stato in grado di osservare e concentrare la propria attenzione sulle  zone del corpo dell’atleta considerate importanti per il corretto svolgimento dell’esercizio, mentre, al contrario, il principiante avrebbe per lo più osservato zone del corpo irrilevanti ai fini del compito.

 

Per ogni esercizio, sono state quindi pre-identificate delle zone corporee considerate come fondamentali per la sua corretta esecuzione:

 

– Girate: Bacino, Gomiti, mani e spalle, Collo


– Squat: Gamba in appoggio, Gamba in aria, Piedi, Braccia


– Skip: Piedi, Bacino, Ginocchia, Mani

Le metriche considerate

Per questa ricerca abbiamo innanzitutto definito le aree di interesse (AOI), concentrandoci su tutte quelle parti del corpo dell’atleta definite come importanti per ogni singolo compito (ad esempio perché più soggette ad infortunio in una scorretta esecuzione dell’esercizio). Per gli esercizi che lo prevedevano, abbiamo poi definito delle aree di interesse anche sul bilanciere che l’atleta maneggiava. Siccome non era importante per la nostra domanda di ricerca, abbiamo escluso dalle analisi tutto ciò che riguardava l’ambiente circostante.


Abbiamo poi indagato il numero di fissazioni, ovvero un periodo in cui lo sguardo è rimasto ancorato ad esplorare una porzione del corpo dell’atleta o una parte del bilanciere.


Successivamente abbiamo anche valutato le differenze nel tempo totale speso dai partecipanti su aree importanti o meno importanti per il corretto svolgimento dell’esercizio.


Dal punto di vista della rappresentazione visiva, abbiamo utilizzato le heat maps, che mostrano la quantità di fissazioni che vengono dirette alle diverse specifiche parti dell’immagine tramite sovrapposizioni di colore, che, nel nostro caso, vanno dal rosso al giallo.

I risultati della nostra esplorazione

Fissazioni

Nei risultati delle fissazioni, notiamo che il principiante tende ad aver un minor numero di fissazioni e a passare più tempo su uno stesso punto rispetto agli esperti, che invece spaziano molto di più con lo sguardo. Questo ci suggerisce che i due esperti, conoscendo la corretta esecuzione dell’esercizio, possono seguire i movimenti dell’atleta in modo molto più dinamico, spostando di volta in volta lo sguardo su parti del corpo importanti.

 

Al contrario, il principiante, non avendo idea di quale sia il modo corretto per eseguire l’esercizio, tenderà a spostare lo sguardo in modo molto più lento, non riuscendo ad assecondare la dinamicità del compito. In questo modo potrebbe perdersi dei passaggi importanti dell’esercizio e non notare dei potenziali movimenti scorretti.

Tempo speso su aree importanti vs non importanti

Il tempo speso sulle aree considerate come non importanti per l’esecuzione dell’esercizio è sostanzialmente simile per i tre partecipanti. Differenze sostanziali sono invece presenti per quanto riguarda le zone importanti. In questo caso, i due esperti spendono molto tempo sulle zone del corpo dell’atleta e sulle parti del bilanciere considerate come fondamentali per il compito. 


Come possiamo notare nella Figura 1, invece, il principiante spende molto tempo ad osservare zone del corpo sostanzialmente irrilevanti per la buona esecuzione del compito. In questo caso, abbiamo voluto portare come esempio le girate, in cui sarebbe stato importante osservare spalle/dorso alto nella prima fase, gomiti nella seconda, bacino gomiti e ginocchia nella terza. Il principiante tende invece a dare maggior attenzione al volto dell’atleta e al bilanciere, non indugiando quasi mai nelle zone realmente rilevanti.

Girate

Figura 1 Esempio di tempo speso su zone non importanti nelle girata da parte del principiante

Tempo speso su singole zone corporee

Abbiamo infine voluto indagare quale fosse la percentuale di tempo totale speso su una singola parte corporea nel corso dell’intero esercizio, rilevando che, anche in questo caso, i due esperti riescono ad identificare meglio le aree cruciali di ogni esercizio. Nell’esempio in Figura 2, è molto interessante il fatto che gli esperti spendano molto tempo su una particolare zona del corpo che per un principiante potrebbe essere del tutto controintuitiva, ovvero la gamba di appoggio, all’altezza del ginocchio, per quanto riguarda l’esercizio dello skip. Notiamo infatti chiaramente come il principiante non guardi praticamente mai la gamba in appoggio dell’atleta.

Skip

Figura 2 Differenze di fissazioni nell’esercizio dello skip

Possiamo fare un discorso simile per quanto riguarda l’esercizio dello squat, in cui il più esperto si concentra maggiormente sul bacino, mentre anche in questo caso l’inesperto tende ad osservare punti irrilevanti.

Squat

Figura 3 Differenze di fissazioni nell’esercizio dello squat

Conclusioni

L’utilizzo dell’eye-tracker ci ha consentito di verificare e valutare le diverse expertise tra i due allenatori più esperti ed il principiante, riuscendo a fornirci una mappatura grafica di come sarebbe corretto osservare l’atleta per verificare che stia eseguendo l’esercizio correttamente. In questo modo, capiamo bene come le skills riscontrate nei più esperti potrebbero più facilmente essere trasferite ai principianti grazie all’impiego di queste tecnologie. 


Alcune volte, infatti, l’esperto riesce a portare avanti le proprie mansioni in modo quasi automatico ed “istintivo” e non sempre è in grado di descrivere esplicitamente i propri comportamenti a parole. Tramite l’eye-tracker, questo passaggio di conoscenze tra esperto e principiante diventa molto più rapido e affidabile. Tali dati possono infatti essere impiegati per monitorare e migliorare le capacità individuali in base ai diversi livelli di esperienza, in modo tale da formare i nuovi arrivati in modo più rapido e quindi anche più economico.


Volendo uscire per un momento dal campo di atletica e dall’ambito sportivo, metodologie simili possono ovviamente essere efficacemente applicate anche ad altri professionisti. Pensiamo ad esempio ad un medico chirurgo che sta operando e che deve “passare” le sue abilità ai giovani specializzandi. O ancora, pensiamo all’ambito industriale, ad un esperto in produzione o in logistica deve mostrare le sue mansioni al nuovo arrivato. L’eye tracker può essere impiegato in queste e in altre situazioni, facilitando e migliorando di molto le attività di formazione dei nuovi dipendenti o professionisti e riducendo di conseguenza il rischio di errori o infortuni.

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