Non solo neuro: ripensare gli strumenti della customer satisfaction

In questo articolo:

L’importanza della customer satisfaction

Lo studio del comportamento consumatore – o consumer behavior – è una macro-area di ricerca che si focalizza sulle abitudini di scelta, di acquisto e di consumo. Sia come consumatori che come professionisti di marketing, sappiamo benissimo come le fasi che precedono il consumo o l’esperienza vera e propria – come la scelta e l’acquisto – siano delle fasi cruciali. 

 

Queste fasi, infatti, ci aiutano a determinare e provare a prevedere il comportamento del consumatore partendo da uno studio accurato di antecedenti al comportamento, come gli atteggiamenti e le intenzioni. Non bisogna, però, sottovalutare cosa farà un consumatore dopo questa esperienza con il prodotto o il servizio: lascerà una recensione positiva o negativa? Cosa lo spinge a farlo? Farà del passaparola con i propri amici? Si farà promotore del brand sui social? Tornerà ad acquistare in futuro o gli atteggiamenti – e quindi le intenzioni e i comportamenti – sono cambiati in seguito all’acquisto? 

 

È proprio di questo che si occupa la customer satisfaction, che sebbene abbia ricevuto notevole interesse nello studio delle teorie di marketing già negli anni ’60 del Novecento (Giese e Cote, 2000) – nasce ufficialmente nel 1994 – con lo sviluppo, ad opera del National Quality Research Center (NQRC) dell’Università del Michigan, dell’American Customer Satisfaction Index (ACSI), il primo e unico sistema di misurazione della soddisfazione sulla qualità percepita dei prodotti e dei servizi uniforme per tutti i settori di attività negli Stati Uniti (Fornell et al., 1996). 

 

La customer satisfaction riconosce infatti il ruolo centrale del cliente nella definizione del brand e nella ricerca che coinvolge la creazione o il miglioramento del prodotto. Lo scopo principale diventa quindi quello di incontrare le aspettative del consumatore, soddisfarle e, se possibile, anche superarle.

I limiti delle misure tradizionali per lo studio della customer satisfaction

Uno dei limiti principali della customer satisfaction è strettamente legato ai limiti delle misure che vengono generalmente usate per conoscere le opinioni post-acquisto degli utenti.

a) Un esempio su tutti, è l’effetto selezione (o distorsione da selezione, o selection bias) che colpisce, ad esempio, i campioni di recensioni disponibili online – come conseguenza della tendenza dei consumatori a lasciare una recensione solo se l’esperienza è stata negativa – forniscono un quadro completamente distorto dell’esperienza generale.

b) Ma non sono solo i problemi di campionamento – ovviamente – a rendere difficile una misurazione oggettiva della soddisfazione del cliente: sappiamo ormai molto bene, ad esempio, che non siamo molto bravi a fornire spiegazioni a posteriori. O meglio, siamo molto bravi a fornire spiegazioni costruite ad hoc affinché combacino con l’idea che vogliamo dare di noi stessi o che pensiamo possano compiacere lo sperimentatore (o la società si aspetti da noi, come nel caso del bias di desiderabilità sociale).

A riguardo, vi consigliamo la visione di questo esperimento (Johansson et al., 2005).

Come avete visto, lo sperimentatore chiede ai partecipanti di scegliere il volto più affidabile tra i due volti riportati su una coppia di carte. Dopo la scelta, però, lo sperimentatore inverte le carte e consegna al partecipante la carta rappresentante il volto non selezionato, chiedendo di motivare la sua scelta. Non accorgendosi dello scambio, ecco che il partecipante si troverà a motivare in maniera convincente una scelta…che in realtà non ha fatto!

 

 

c) Lo stesso avviene per la difficoltà che incontriamo quando dobbiamo dare delle valutazioni assolute e non relative, ad esempio quando ci viene richiesto un feedback o una valutazione su un prodotto singolo. Nella realtà dei fatti, ogni nostro confronto avviene in un contesto in cui tutti i prodotti e i servizi vengono continuamente confrontati con altri. Non si tratta sempre di altri prodotti effettivamente presenti, ad esempio, su uno scaffale, ma anche di immagini mentali come un prodotto ideale. Fare dei confronti relativi e non assoluti è inoltre più efficace a livello pratico: banalmente, pensate di dover rispondere alla domanda “Quanto ti piace la pasta da 1 a 5?” e poco dopo alla domanda “Quanto ti piace la pizza da 1 a 5?”. Difficilmente da queste due domande emergerà una preferenza netta e si verificherà un effetto detto “effetto tetto” o “soffitto”. Ad esempio, entrambi i cibi vengono valutati 4 o 5, senza una differenza particolarmente significativa tra le due valutazioni. Costretti a scegliere tra pasta e pizza invece, dando quindi una valutazione assoluta, veniamo posti di fronte alla necessità di esprimere una preferenza che – seppur minima – può dichiarare un prodotto vincitore sull’altro. 

 

d) Ancora, siamo facilmente manipolabili e condizionabili anche da noi stessi. Ad esempio potremmo convincerci – sempre a posteriori – che il prodotto che abbiamo acquistato sia certamente di qualità maggiore semplicemente perché lo abbiamo pagato di più e non perché sia necessariamente così, solo per giustificare a noi stessi la spesa fatta.  

 

Ma com’è possibile – allora – togliere questa serie di distorsioni nell’ambito della customer satisfaction? Come sappiamo, in campo degli studi di economia comportamentale e neuroeconomia, è possibile applicare alcune tecniche e pratiche neuroscientifiche al marketing, ma non sono solo queste le risorse che è possibile mettere in campo. Esistono infatti alcuni task comportamentali che possono fornirci le misurazioni di cui abbiamo bisogno in modo estremamente funzionale, anche se il neuromarketing fatto di strumenti non fa per te. Vediamo quali sono quelli più adatti a misurare la customer satisfaction.

La conjoint analysis per la customer satisfaction

La conjoint analysis (o analisi congiunta) è una tecnica di analisi statistica multivariata che – applicata alle ricerche di mercato – consente di misurare il valore attribuito dai consumatori alle singole caratteristiche del prodotto o del servizio che vogliamo esaminare. Un’analisi multivariata – appunto –  consente di prendere in considerazione l’effetto e la combinazione di diverse variabili e attributi legati al prodotto (come ad esempio confezione, prezzo, struttura, ecc).

 

Con l’analisi congiunta il cliente viene messo di fronte ad una serie di scenari dove vengono proposti dei prodotti o dei servizi uguali tra loro per ogni attributo, tranne uno. Presentando al cliente ogni singola possibile combinazione tra attributi e livelli, l’analisi congiunta permette di estrapolare l’importanza di ogni singolo attributo e l’impatto che un cambiamento in quella specifica caratteristica del prodotto potrebbe avere sulla propensione all’acquisto (o Willingness to Buy) del consumatore.

 

Facciamo un esempio vinicolo (che abbiamo davvero messo in pratica per un nostro cliente): per prima cosa, scegliamo gli attributi che vogliamo valutare, ad esempio il vitigno, la regione di produzione o l’etichetta. Per ogni attributo definiamo diverse varianti (o livelli, come ad esempio diverse fasce di prezzo, le diverse etichette, le diverse regioni e vitigni d’interesse). Ad ogni partecipante viene richiesto di valutare una serie di bottiglie di volta in volta identiche se non per un singolo livello di un singolo attributo, indicando una scala da zero a cento la probabilità con la quale acquisterebbero la bottiglia presentata nella scheda. Confrontando l’effetto delle singole caratteristiche sulla intenzione d’acquisto (tramite, appunto, una regressione lineare multipla), possiamo generare una funzione di preferenza che ci dirà esattamente qual è l’impatto di ogni singola caratteristica sulla decisione d’acquisto.

 

Questo strumento diventa molto efficace per la customer satisfaction, proprio perché permette molti dei limiti che abbiamo elencato poco fa, tra cui la nostra difficoltà nel fornire valutazioni assolute e non relative.

 

Volendo prendere un esempio classico della letteratura scientifica, lo studio di Neslin (1983) ha adottato la conjoint analysis per la progettazione di un ambulatorio sanitario, che avrebbe previsto degli specifici servizi per la popolazione del New Jersey. In particolare, bisognava indagare il livello di soddisfazione nei confronti di alcuni servizi, in modo da mettere in atto un programma di miglioramento della qualità generale della struttura sanitaria. La conjoint analysis viene effettuata quindi su diversi scenari ipotetici che sono poi serviti per lo sviluppo delle combinazioni di servizi ottimali per incontrare i bisogni espressi dai clienti.

 

Per cominciare, quindi, gli sperimentatori hanno condotto un focus group con alcuni membri della popolazione locale e hanno individuato alcuni punti che venivano ritenuti fondamentali dai consumatori stessi per un servizio sanitario ottimale e che sono state successivamente utilizzati per l’esperimento vero e proprio:

 

  • Luogo = periferia vs. città
  • Cure dentistiche = disponibili vs. non disponibili presso il nuovo centro sanitario
  • Orario di apertura = solo orario diurno normale vs orario prolungato (notte e fine settimana)
  • Infermieri: assumere vs. non assumere infermieri
  • Selezione del medico = i pazienti possono selezionare il proprio medico del centro sanitario vs. possibile assegnazione di un medico diverso per ogni visita

Dopo aver individuato queste cinque caratteristiche rilevanti, sono stati anche definiti degli attributi percettivi a partire dalla revisione della letteratura scientifica, ovvero degli attributi riferibili alla percezione soggettiva che il consumatore potrebbe avere sui servizi offerti. Questi attributi vengono a loro volta riassunti in 3 punti:

 

 

  1. Qualità = si riferisce all’efficacia generale delle cure che è possibile ricevere e comprende la percezione del consumatore nei confronti, ad esempio, delle attrezzature, dei macchinari e della loro efficacia, ma anche dell’abilità e dell’esperienza dimostrata da medici ed infermieri.
  2. Personalità = si riferisce all’approccio amichevole ed accogliete da parte degli operatori sanitari.
  3. Convenienza = si riferisce alla facilità di ottenere o meno assistenza nel momento in cui se ne ha bisogno.

Per lo studio, gli sperimentatori hanno coinvolto un totale di 112 residenti di Camden County, a cui sono state presentate diverse possibili combinazioni delle caratteristiche selezionate. In Figura 1 viene presentato un esempio di due possibili combinazioni su quali caratteristiche potesse avere il nuovo ambulatorio. Ad ognuna di queste possibili combinazioni veniva poi richiesto di associare Qualità, Personalità e Convenienza più o meno elevata in base alle percezioni personali.

Figura 1 Possibili combinazioni delle caratteristiche significative 

Fonte: Designing New Outpatient Health Services: Linking Service Features to Subjective Consumer Perceptions

I risultati mostrano che una delle caratteristiche più importanti per il consumatore era il luogo, più nello specifico la posizione periferica viene più spesso associata ad un’elevata Qualità percepita e ad un’elevata Convenienza. 

 

La caratteristica relativa invece alla presenza o all’assenza delle cure dentistiche non influisce in modo particolare sulle percezioni dei consumatori, siano esse positive o negative. Gli orari di apertura prolungati hanno un’influenza positiva su Personalità e Convenienza, ma negativa sulla Qualità percepita, ovvero i servizi offerti negli orari notturni e nei weekend vengono percepiti come di minor qualità. Sorprendentemente la presenza di molti infermieri ha un impatto negativo sulla Qualità percepita e influenze non rilevanti su Personalità e Comodità. 

 

La spiegazione potrebbe essere che i partecipanti traducono la presenza di molti infermieri in un minor contatto diretto con il medico o con lo specialista che dovrebbe prendersi cura dei loro disturbi. Infine, per quanto riguarda la caratteristica legata alla selezione del medico, viene riscontrata una forte preferenza per la possibilità di selezionare il proprio medico, sebbene l’assegnazione casuale ad ogni visita abbia punteggi maggiori per quanto riguarda la convenienza e, quindi, il risparmio di tempo.

 

In generale, tuttavia, le analisi dei risultati suggeriscono che il consumatore è più interessato a ricevere cure mediche efficaci e rinuncerebbe a una certa quantità di Personalità o Convenienza al fine di ottenere una Qualità maggiore.

 

Grazie alla conjoint analysis utilizzata in questo esempio, abbiamo visto come è stato possibile selezionare gli attributi più appropriati nella progettazione di un nuovo prodotto o servizio. Utilizzando i risultati in modo strategico, è stato possibile fornire un servizio sanitario che fosse in linea con le aspettative ed i desideri dei consumatori, proprio perché l’analisi è in grado di mettere in relazione sia delle caratteristiche oggettivamente definite, che delle percezioni puramente soggettive, al fine di individuare la combinazione migliore. Queste combinazioni forniscono un ottimo esempio di decisioni manageriali guidate dalle risposta soggettiva – e a volte implicite – del consumatore stesso.

L’IAT per la customer satisfaction

Un altro task comportamentale utile per misurare la customer satisfaction è l’Implicit association test (IAT) o test ad associazione implicita, uno strumento versatile che consente di cogliere degli aspetti impliciti, e quindi fuori dal controllo consapevole delle persone, legati ad uno specifico prodotto o brand.

 

Più nello specifico, questo test viene utilizzato per studiare la forza dei legami associativi tra alcuni concetti rappresentati in memoria. Sullo schermo di un computer appare lo stimolo, che può essere l’immagine di un prodotto. Al partecipante viene quindi richiesto di associarlo ad una determinata categoria attraverso l’utilizzo di due soli tasti. 

 

Ad ogni tasto viene associato una diversa categoria e vengono misurati i tempi di risposta. Quanto più velocemente il partecipante associa lo stimolo ad una categoria, tanto più quest’associazione sarà presente e forte nella sua memoria. Per quanto riguarda la customer satisfaction, quindi, potremmo immaginare di portare avanti uno studio longitudinale – ovvero la raccolta coerente di opinioni dello stesso gruppo di individui nel corso di un determinato periodo temporale – per verificare se, a lungo andare, saremmo in grado di modificare le percezioni del consumatore rispetto ad un nostro competitor.

 

Ma vediamo insieme un esempio pratico per rendere questa descrizione più chiara. In un interessante studio condotto da Priluck e Till (2010), gli autori si pongono come scopo principale quello di esaminare i tempi di reazione dei consumatori nel classificare i marchi rispettivamente di Coca Cola e Pepsi in relazione a parole positive o negative.

 

In questo caso, come mostrato in Figura 3, le categorie comprendevano da un lato una rappresentazione del marchio (che poteva essere rappresentato dall’immagine di una lattina, l’immagine di una bottiglia o l’immagine del logo) e dall’altro parole che potevano esser di valenza positiva oppure negativa.

Figura 3 Esempio di IAT con i marchi Coca Cola e Pepsi

Nello IAT, gli sperimentatori chiedevano ai soggetti di abbinare la Coca Cola a parole positive nella condizione compatibile (e la Pepsi a parole negative) e a parole negative nella condizione non compatibile (e la Pepsi a parole positive). Successivamente, è stata esaminata la differenza nei tempi di risposta ai due compiti con dei risultati che indicavano tempi di risposta minori nella condizione compatibile.

 

La spiegazione di questi risultati deriva dal fatto che quando due concetti sono fortemente associati tra loro nella mente del consumatore questi abbinerà molto più facilmente e velocemente i due concetti fra loro. In questo modo sarà possibile scoprire quali sono le reali attitudini del consumatore verso il nostro prodotto o brand.

Conclusioni

In questo articolo, abbiamo voluto presentare due dei principali task comportamentali che possono aiutarci a misurare la customer satisfaction, una dimensione che potrebbe sembrarci puramente immateriale e che pure può essere colta tramite questi test. 

 

Le misurazioni ottenute sono funzionali a definire sia l’atteggiamento verso il prodotto che verso il marchio, andando ad indagare tutte quelle tendenze implicite da parte del consumatore che potrebbero sfuggire ai metodi tradizionali. 

 

Di conseguenza, e a seguito di queste analisi, saremmo maggiormente in grado di andare incontro a quelli che sono i reali bisogni dei clienti e magari progettare dei cambi di rotta strategici in base alle risposte ottenute, reinventando ad esempio l’immagine del marchio che non viene percepita proprio così positivamente come pensavamo, oppure, addirittura, creare un prodotto o la confezione di un prodotto seguendo le loro stesse preferenze.

Bibliografia

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Priluck, R., Till, B. Comparing a customer-based brand equity scale with the Implicit Association Test in examining consumer responses to brands. J Brand Manag 17, 413–428 (2010). https://doi.org/10.1057/bm.2009.32

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