Il lavoro così come viene concepito oggi – lo sappiamo – prevede ormai l’utilizzo quasi costante delle nuove tecnologie. Che sia un laptop, un tablet o uno smartphone, non siamo più in grado di immaginare di portare a termine i nostri compiti senza l’utilizzo di questi dispositivi, soprattutto se pensiamo ai vantaggi che questo comporta. Tuttavia, passare così tanto tempo davanti agli schermi – che si tratti di svago o di lavoro – comporta un significativo affaticamento visivo e, di conseguenza, potrebbe generare non pochi problemi.
Immaginiamo infatti la classica giornata lavorativa da 8 ore. Stai lavorando in ufficio, o anche da casa in smartworking, e lo stai facendo dal computer aziendale o dal tuo PC. In aggiunta, interagirai sicuramente anche con lo schermo del tuo smartphone. Finite le tue ore lavorative, continuerai ad interagire con gli schermi per motivi di intrattenimento ed ecco che avrai passato la quasi totalità delle tue ore di veglia davanti ad un dispositivo.
L’insieme dei problemi legati alla vista che ne possono derivare viene chiamato sindrome da visione al computer (Computer Vision Syndrome, CVS) ed è causata principalmente dalla luce blu intensa emessa da questi schermi. Fra i sintomi più comuni possiamo trovare appunto affaticamento degli occhi, ma anche irritazione, arrossamento, visione offuscata e visione doppia (Blehm et al., 2005).
La sicurezza sul lavoro è un tema molto importante, soprattutto in alcune aree (come potrebbero essere ad esempio le catene di produzione), ma a volte dimentichiamo che anche seduti alle nostre scrivanie siamo esposti a dei micro-rischi che, seppur “micro”, il datore di lavoro non dovrebbe sottovalutare.
In questo articolo:
Come si misura il livello di affaticamento visivo?
La diffusione di questi disturbi ha portato le aziende a chiedersi in che modo sia possibile aumentare il benessere di tutti quei lavoratori che hanno la necessità di svolgere i propri compiti al computer.
Da qui, il primo passo consiste innanzitutto nello stimare il livello di affaticamento visivo che il dipendente può raggiungere. Le metodologie principali sono due e si dividono in soggettive ed oggettive. Per metodologie soggettive intendiamo principalmente i questionari self-report, in cui il lavoratore può indicare il livello di affaticamento percepito su alcune scale (Kennedy et al., 1993).
Capiamo bene però che questo non ci fornirebbe molto margine di intervento. Se un’azienda è infatti interessata ad aumentare il benessere dei dipendenti “costretti” al computer per l’intero turno di lavoro, avrà bisogno di dati più strutturati. Tramite i questionari il partecipante stesso potrebbe sottostimare o sovrastimare i disagi percepiti o non essere in grado di riconoscere alcuni sintomi.
Le metodologie da prendere in considerazione sono quindi in questo caso quelle di tipo oggettivo. Tra questi metodi di misurazione, l’eye tracking è un metodo rapido e non invasivo per la raccolta oggettiva dei dati, già utilizzato dai ricercatori in molti altri contesti. Tra i parametri che si possono prendere in considerazione per la valutazione dell’affaticamento oculare ci sono:
– l’ammiccamento (chiusura rapida e momentanea delle palpebre)
– la frequenza di ammiccamento
– la dilatazione pupillare
– la durata delle fissazioni
– la velocità delle saccadi (le saccadi sono rapidi movimenti degli occhi)
Diverse metodologie di misurazione a confronto: un esempio dalla letteratura scientifica
In uno studio del 2022, Lin e colleghi hanno indagato la relazione tra i parametri derivati dall’eye tracker e altre due misurazioni molto comuni legate all’affaticamento visivo. Una di queste, come dicevamo, sono i questionari self-report.
Ne esistono diversi in ambito di ricerca, ma uno dei più semplici ed efficaci è ancora quello realizzato da Heuer et al. nel 1989. Il questionario comprende sei item in totale ed i partecipanti possono valutare ogni elemento su una scala da 1 (per niente) a 10 (molto). Il questionario è così composto:
1. Ho difficoltà a vedere.
2. Ho una strana sensazione intorno agli occhi.
3. I miei occhi sono stanchi.
4. Mi sento intorpidito.
5. Ho mal di testa.
6. Mi gira la testa guardando lo schermo.
L’altra metodologia che gli autori prendono in considerazione è conosciuta come Critical flicker-fusion frequency (CFF), ovvero la frequenza nella quale la luce tremolante può essere percepita come continua e serve a misurare la risposta retinica. In caso di affaticamento visivo, la risposta visiva non sarà più riportata con un normale valore critico (che si aggira attorno a 25 Hz-55 Hz; Kranda, 1982).
Ai fini dello studio, quindi, tutti i partecipanti sono stati sottoposti ad un compito di osservazione prolungata che avrebbe portato ad affaticamento visivo. Durante la fase pre-test, l’affaticamento visivo è stato valutato mediante questionario soggettivo e CFF; il movimento degli occhi è stato successivamente valutato utilizzando l’eye tracker. Lo scopo era quello di dimostrare che l’eye tracker è in grado di rilevare l’affaticamento visivo in modo più oggettivo e preciso rispetto agli altri due metodi più tradizionali.
Durante il compito, i trentatré partecipanti coinvolti dovevano osservare in una sessione da 20 minuti, delle immagini statiche (foto di paesaggi) o dinamiche (come, per esempio, foto di una scacchiera bianca e nera che lampeggiava sullo schermo). Come è possibile immaginare, questo compito di osservazione così prolungata portava ad un marcato affaticamento visivo. A seguito del compito, veniva nuovamente misurato l’affaticamento visivo sempre tramite questionario soggettivo, CFF ed eye tracker.
Per misurare la stanchezza visiva tramite eye-tracker, sia prima che dopo il compito di affaticamento con le immagini, si mostrava ai partecipanti un bersaglio (Figura 1) e si chiedeva di guardare fisso al centro per 60 secondi.
I parametri presi in considerazione per questo tipo di misurazione sono definiti in letteratura come “parametri di accuratezza” e si riferiscono in questo caso a (1) la durata totale del tempo di fissazione per quanto riguarda il cerchio più interno del bersaglio e (2) la durata della fissazione più lunga sempre per quanto riguarda il cerchio più interno. Abbiamo poi altri due parametri, definiti “di precisione”, che invece prendono in considerazione (3) la distanza massima tra una saccade e l’altra e (4) il raggio di messa a fuoco (che rivela la difficoltà a mettere a fuoco elementi delle immagini).
I risultati ottenuti: l’eye tracker performa meglio delle altre metodologie?
Per quanto riguarda il questionario soggettivo, si riscontra che i partecipanti dichiarano un effettivo affaticamento dopo il compito di osservazione prolungata. Tramite il CFF, non si hanno però risultati significativi se si confrontano i pre-test, effettuati prima dell’osservazione prolungata, con i test effettuati dopo il compito.
I risultati dell’eye-tracker ci confermano però che, dopo l’attività di affaticamento, i partecipanti erano meno precisi e meno accurati nel riuscire a tenere lo sguardo al centro del bersaglio per i 60 secondi richiesti.
Figura 1 Mappe di calore di un partecipante rispettivamente prima e dopo il compito di affaticamento visivo.
Fonte: Visual Fatigue Estimation by Eye Tracker with Regression Analysis
Come possiamo notare dalla Figura 1, infatti, le mappe di calore ci mostrano che, prima del compito, i partecipanti riuscivano a mantenere meglio lo sguardo fisso nella zona centrale. Dopo il compito (immagine di sinistra della Figura 1), i partecipanti tendono a migrare con lo sguardo nelle zone più esterne del bersaglio, dimostrando, appunto, una maggior stanchezza.
Questi risultati ci dicono che il questionario CFF, che pure dovrebbe rappresentare un metodo di misurazione oggettiva della stanchezza visiva, presenta una sensibilità molto bassa e non riesce ad evidenziare al meglio l’effettivo affaticamento del partecipante. Dall’altro lato, i questionari self-report riescono sì a darci un quadro più chiaro, ma presentano un bias di valutazione soggettiva, per cui le immagini dinamiche (es. scacchiera bianca e nera che lampeggia) vengono sistematicamente valutate come molto più stancanti rispetto a quelle statiche, ma questo non viene rilevato in nessuna misura fisiologica.
Infine, l’eye tracker riesce a mostrare in modo semplice ed oggettivo che l’affaticamento visivo ha un’influenza maggiore sulla precisione e sull’accuratezza. Più nello specifico, il parametro della precisione è il più sensibile, per cui, a causa della stanchezza, il punto focale (ovvero il centro del bersaglio) tende a divergere e la distanza massima tra una saccade e l’altra aumenta.
Dunque, in questo esperimento, mentre il CFF non ha misurato la differenza tra prima e dopo i compiti di fatica e il questionario soggettivo ha rivelato lo stato di fatica, l’eye tracker riesce a determinare efficacemente l’influenza della fatica e a darci dei parametri oggettivi su cui poter intervenire.
Conclusioni
L’eye tracker sembra quindi essere un metodo molto efficace per valutare la stanchezza oculare dei nostri dipendenti in modo oggettivo, al posto di costose apparecchiature mediche o di metodi esclusivamente soggettivi che potrebbero dare risultati non accurati.
Per tornare al punto iniziale, immaginiamo di voler valutare a che livello di stanchezza oculare vengono sottoposti i dipendenti della nostra azienda nel mentre eseguono le loro classiche routine lavorative al computer (di qualunque natura esse siano).
Tramite eye tracker sarà possibile misurare i livelli di accuratezza e precisione prima e dopo l’inizio delle attività lavorative. Il grado di affaticamento riscontrato ci permetterà di intervenire in modo mirato, progettando, ad esempio delle pause molto ravvicinate fra loro per i compiti che risulteranno più stancanti.
Non solo, questi interventi potranno essere personalizzati per singolo individuo in base alle risposte in modo da ricordare ad ogni utente di rilassare gli occhi in modo tempestivo. Questo diventa ancora più impellente se pensiamo anche alla veloce diffusione che stanno avendo i dispositivi per realtà virtuale e realtà aumentata (Montagna, 2018) con cui, presto o tardi, sarà necessario confrontarsi anche in ambito aziendale e che potrebbero anche sostituire i classici dispositivi 2D/3D.
Bibliografia
Blehm, C., Vishnu, S., Khattak, A., Mitra, S., & Yee, R. W. (2005). Computer vision syndrome: a review. Survey of ophthalmology, 50(3), 253-262.
Kennedy, R. S., Lane, N. E., Berbaum, K. S., & Lilienthal, M. G. (1993). Simulator sickness questionnaire: An enhanced method for quantifying simulator sickness. The international journal of aviation psychology, 3(3), 203-220.
Kranda, K. (1982). Potential applications of various flicker techniques in psychopharmacology: the aims and limits. Flicker Techniques in Psychopharmacology, 14-22.
Lin, H. J., Chou, L. W., Chang, K. M., Wang, J. F., Chen, S. H., & Hendradi, R. (2022). Visual fatigue estimation by eye tracker with regression analysis. Journal of Sensors, 2022.
Montagna, L. (2018). Realtà virtuale e realtà aumentata: nuovi media per nuovi scenari di business. Realtà virtuale e realtà aumentata, 1-288.
Wang, Y., Zhai, G., Zhou, S., Chen, S., Min, X., Gao, Z., & Hu, M. (2018). Eye fatigue assessment using unobtrusive eye tracker. Ieee Access, 6, 55948-55962.