Inside out the box: Migliorare il Packaging con il Neuromarketing

Se non fossi certo dell’unicità del tuo prodotto o del tuo servizio probabilmente non investiresti tempo e risorse nel suo sviluppo e nella sua promozione. Allo stesso modo, se il consumatore finale non ritiene che il tuo prodotto o servizio sia unico tra una platea di concorrenti e competitor simili,  non investirà tempo e denaro per desiderarlo, cercarlo e acquistarlo. Da questa semplice considerazione nasce una domanda: Cosa stai facendo e cosa puoi fare per rendere il tuo brand, i tuoi prodotti e i tuoi servizi unici e riconoscibili anche nella mente dei consumatori? 

 

Se è vero che l’apparenza inganna e  che non si giudica un libro dalla sua copertina, è altrettanto vero che uno dei primi punti di contatto tra il consumatore e il tuo prodotto è il  packaging. La confezione di un prodotto, infatti, ha il compito di aiutarci a comunicare visivamente le caratteristiche e le qualità del prodotto entro i primi 6-7 secondi di presa di decisione. Ed è proprio di confezioni che parleremo in questo case study, dove vogliamo raccontarti come abbiamo analizzato e migliorato il packaging di un prodotto per la cura dei bambini. 

Brief

In particolare, il progetto di cui parleremo è “Inside Out The Box”, sviluppato per un’azienda leader nel settore 

 

La proposta prevedeva di determinare l’efficacia e la performance di 4 differenti confezioni (che chiameremo A, B, C e D): si tratta di tre nuove varianti – dei prototipi grafici proposto dal cliente – e la confezione attualmente disponibile sul mercato.

Obiettivi

L’obiettivo del cliente è – ovviamente – quello di massimizzare la riconoscibilità del proprio prodotto sullo scaffale di un supermercato, non solo rispetto alla confezione attuale del prodotto, ma anche rispetto a quella relativa ai prodotti dei principali concorrenti. 

 

A questo proposito, abbiamo sviluppato test in laboratorio che hanno permesso di identificare l’aspetto della confezione che evidenziasse anche le migliori performance percettivo-emozionali. In ultimo, sono stati delineati dei pattern comportamentali specifici per le diverse categorie di clienti coinvolte.

Le variabili indagate 

Come accennato, il packaging rappresenta un vero e proprio strumento di marketing che, oltre a proteggere e mantenere inalterato il contenuto, deve saper coinvolgere il consumatore, attirarne l’attenzione, ma, soprattutto, deve saper suscitare emozioni.

 

La confezione è infatti soggetta ad una complessa serie di influenze, prima fra tutte quelle relative al campo pratico e logistico. Una confezione deve essere innanzitutto funzionale, leggera, deve adottare le più recenti tecnologie per quanto riguarda i materiali ed il rispetto delle norme ambientali. 

 

Tuttavia, un’influenza preponderante viene giocata dalle preferenze del consumatore e da tutte quelle componenti emotive che possono intervenire nel momento in cui entra in stretto contatto con gli elementi grafici della confezione sullo scaffale. Tali variabili emotive operano tuttavia al di sotto della soglia di consapevolezza dell’individuo.

 

Diversamente da quel che viene proposto da alcune teorie economiche tradizionali, le decisioni di acquisto sono guidate principalmente dalla componente emotiva e non solo dalla razionalità normativa. Ma come è possibile isolare ed analizzare queste variabili emotive, al fine di impiegarle per creare una grafica di impatto sulla confezione, se il consumatore stesso non è consapevole?

 

A questo scopo, il neuromarketing (o consumer neuroscience) consente di ottenere risposte senza fare domande, integrando le metodologie di indagine esplicite (tradizionali) con metodologie implicite.

Gli strumenti

Abbiamo integrato diversi strumenti di studio che consentono di indagare anche variabili in maniera implicita

 

Uno di questi è relativo al test di associazione implicita (IAT). Si tratta di uno dei nostri compiti preferiti perché ci permette di misurare la forza di associazione tra il nostro prodotto (o elemento di un prodotto come, appunto, la sua confezione) e una serie di concetti mentali, o dimensioni o categorie, che possono essere a valenza positiva o negativa. In pratica. 

 

Alla base dell’IAT – che dalla sua prima presentazione nel 1998 è diventato una delle metodologie più usate nella ricerca scientifica per lo studio, ad esempio degli stereotipi –  c’è l’assunto che tempi di reazione più veloci ed una maggior accuratezza nell’associare uno stimolo con un concetto positivo stanno ad indicare una maggiore forza associativa tra quello stimolo e valori positivi.

 

Un altro strumento, utile ed al tempo stesso innovativo per questo tipo di indagine, è l’eye tracker. Si tratta di un dispositivo costituito da occhialini portatili che sono in grado di registrare tutto ciò che viene osservato da chi li indossa e di misurare la posizione ed il movimento degli occhi. È infatti proprio attraverso il senso della vista che entriamo in un primo contatto con le confezioni dei prodotti, analizzandone tutti gli elementi estetici.
L’eye tracker è in grado di dirci in modo accurato dove dirigiamo il nostro sguardo, e quindi la nostra attenzione, sia quando esploriamo uno scaffale più in generale, sia quando osserviamo la confezione di un prodotto più in particolare, indicandoci quali elementi della confezione sono in grado di coinvolgerci maggiormente.

 

Abbiamo però sottolineato come una confezione non debba solo attirare l’attenzione, ma anche suscitare in noi un’emozione positiva. Anche in questo caso, uno specifico strumento viene in nostro soccorso. 

 

Si tratta del face reader, un software in grado di riconoscere ed analizzare le espressioni facciali, classificando automaticamente lo stato emotivo dell’individuo mentre questo sta, ad esempio, osservando l’immagine del prodotto che ci interessa, fornendo informazioni molto importanti.

La metodologia

Analisi della confezione su scaffale

L’eye tracker ha permesso di identificare quali delle 4 confezioni prese in considerazione attirasse maggiormente lo sguardo all’interno dello scaffale, nonché di individuare e mappare il preciso percorso di scansione visiva per ognuno di essi. 

 

A questo scopo, è stato ricostruito un setting in laboratorio che permettesse di simulare una reale interazione da parte del partecipante con diverse configurazioni dello scaffale, proprio come se si trovasse in un reale supermercato. Il compito del cliente era quello di selezionare un prodotto da acquistare tra quelli presenti, compiendo la sua scelta nel mentre indossava l’eye tracker. 

 

Lo strumento ha permesso di tracciare tutti i movimenti oculari del cliente mentre questo osservava il prodotto prescelto, di modo tale da individuare tutte le aree che erano in grado di attirare maggiormente l’attenzione su tutte 4 le confezioni considerate.

eye tracker per packaging

Analisi della confezione su schermo

In un secondo compito, gli stessi stimoli sono stati invece presentati ai partecipanti tramite video utilizzando in concomitanza l’eye tracker e il face reader. In questo caso, i partecipanti erano invitati a sedersi di fronte ad uno schermo e ad osservare le immagini delle 4 confezioni nel mentre gli strumenti impiegati andavano a registrare tutte le loro reazioni emotive. 

 

Più nello specifico, la registrazione simultanea delle reazioni emotive e del percorso oculare, ha permesso di identificare quali tra gli stimoli presentati riuscissero a procurare un maggior cambiamento nello stato fisiologico dei partecipanti, maggiori risposte emotive (positive e negative), nonché quali riuscissero a catalizzare meglio l’attenzione visiva.

IAT

IAT esempio

Utilizzando un test di associazione implicita, è stato poi possibile definire se ed in che modo i differenti cluster di clienti presi in considerazione presentassero pattern comportamentali differenti nei confronti delle 4 confezioni. In particolare, è stato chiesto ai partecipanti di catalogare confezioni e attributi a valenza positiva vs. negativa misurando i tempi e l’accuratezza di tale catalogazione. 

 

Gli stimoli, generalmente parole o immagini, appartengono a quattro diverse categorie: due di queste categorie rappresentano dei concetti (es. Confezione “A” e Confezione “B”), mentre le altre due rappresentano due attributi opposti bipolari (es. appunto positivo e negativo). Quando uno stimolo appare sul monitor, il rispondente lo deve ricondurre alla categoria di riferimento in base a come si sente di giudicarlo. 

 

Se l’associazione tra concetto ed attributo è molto forte, allora la risposta sarà tanto più veloce quanto accurata e questo sarà indice della tendenza o atteggiamento del consumatore nei confronti di quel determinato stimolo. Ad esempio, tanto maggiore è la facilità con cui il consumatore associano le foto della Confezione “A” a concetti negativi, peggiori saranno gli atteggiamenti del consumatore verso quella confezione.

 

Infine, un classico questionario self-report ha permesso di verificare se le misure auto dichiarate corrispondessero a quelle già individuate in maniera implicita. In particolare, ai partecipanti è stato chiesto di esprimere un parere esplicito riguardo la piacevolezza di ogni confezione, nonché l’intenzione di acquistare il prodotto.

I risultati

Per quanto riguarda i risultati, le analisi relative al primo compito hanno consentito di identificare quali esattamente fra le 4 confezioni era in grado di attirare maggiormente l’attenzione del cliente, evidenziando una performance più elevata attenzione visiva dei partecipanti per quanto riguarda le confezioni B e C.

 

In aggiunta, abbiamo visto che lo stimolo C risultava essere quello più efficace su consumatori precedentemente fidelizzati ai diversi principali competitor – quindi quello in grado di “guadagnare” fette di mercato.

In maniera simile, le analisi relative al secondo compito tramite face reader, confermano che la confezione C è capace di produrre uno stato emozionale maggiore nei consumatori, soprattutto in quelli già fidelizzati ad un altro brand.

 

Anche le analisi relative al test di associazione implicita hanno confermato che la confezione C è in grado di catturare le preferenze di consumatori legati ad altri brand.

 

I risultati emersi dal questionario “self-report”, con il quale sono state raccolte le risposte esplicite dei partecipanti a domande dirette sui prodotti – mostrano delle incongruenze:  clienti fidelizzati ai main competitor dichiarano infatti di preferire il prodotto del competitor di riferimento, indicano un’elevata piacevolezza nei confronti dei prodotti del competitor, nonché un’elevata intenzione di acquisto dei suo prodotti – e non riportano di essere stati attratti dal prodotto “C”. 
Queste informazioni queste smentite appunto dalle analisi di tutti i precedenti test: il prodotto “C” ha catturato l’attenzione ed emozionato i consumatori, ne ha spostato le preferenze implicite nei test di associazione anche a discapito del competitor a cui affermano di essere più legati.


Sono tanti i motivi per cui i partecipanti nelle risposte aperte non hanno saputo cogliere questa propensione verso il packaging “C”: una delle spiegazioni è che siamo animali in cerca di coerenza cognitiva – una volta affermato di esserci fidelizzati al competitor, difficilmente riporteremmo delle valutazioni positive di un altro marchio o prodotto. 
Tuttavia, non siamo in grado di controllare le nostre reazioni psico-fisiologiche ed attentive.

Per concludere

Il progetto “Inside out the box” e le diverse metodologie di ricerca sperimentali hanno dunque dimostrato come le dichiarazioni esplicite fornite direttamente dal consumatore non coincidono con le sue reali intenzioni d’acquisto. 

 

Questo, ovviamente, non perché il partecipante abbia in qualche modo intenzione di dichiarare il falso, ma perché, come accennato, i fattori espliciti indagati sono al di sotto della sua soglia di consapevolezza.

 

Integrare le più tradizionali tecniche di marketing con quelle più moderne di neuromarketing ha invece permesso di raggiungere l’obiettivo in modo mirato, consentendo di indicare al committente quale fosse la scelta migliore per il restyling del nuovo prodotto, individuando una confezione in grado di catturare l’attenzione del cliente, di stimolare risposte fisiologiche ed emotive, non solo rispetto alle precedenti confezioni del brand in analisi, ma anche rispetto a quelle dei principali competitor.

 

Al contrario, se ci fossimo affidati solo ai classici questionari, avremmo puntato (ma soprattutto investito) su un risultato potenzialmente sbagliato, perdendo tempo e denaro.

Bibliografia

Ambrose, G., & Harris, P. (2017). Packaging the brand: the relationship between packaging design and brand identity. Bloomsbury Publishing.


Rundh, B. (2009), “Packaging design: creating competitive advantage with product packaging“, British Food Journal, Vol. 111 No. 9, pp. 988-1002. 


Vainikka, B. (2015). Psychological factors influencing consumer behaviour.


Watson, L., & Spence, M. T. (2007). Causes and consequences of emotions on consumer behaviour: A review and integrative cognitive appraisal theory. European Journal of Marketing.

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