Dal controllo alla fiducia: uno Smartworking possibile

Il passaggio da “controllo” a “fiducia” non è solo un bel concetto teorico: alcuni ricercatori del team di Umana-Analytics lo dimostrano in questo articolo.

 

Il livello di identificazione con la propria organizzazione è un concetto radicato all’interno dell’approccio teorico dell’identità sociale: in linea di massima, possiamo definirlo come la porzione dell’identità di una persona che deriva dall’appartenenza a una organizzazione unita al valore e al significato emotivo che l’appartenenza a quel gruppo/organizzazione ci provoca (i.a. Tajfel, 1978, in Smidts, Cees, Van Riel & Pruyn, 2000).

 

Per anni la ricerca accademica ha dimostrato che l’identificazione organizzativa ha un effetto positivo per l’organizzazione stessa: i dipendenti che si identificano fortemente con il proprio lavoro tendono ad impegnarsi e sentirsi più coinvolti, proprio perché il successo della propria realtà organizzativa viene in un certo senso incorporato nel proprio successo personale.

 

Nel contesto dello smart working, sentiamo ripeterci in continuazione che “è necessario passare da una cultura del controllo ad una cultura della fiducia”. Parole molto belle, che si prestano facilmente a diventare uno slogan al cambiamento su carta – per poi rimanere tale.

 

Quello che auspichiamo, da accademici, lavoratori e promotori di un cambiamento manageriale, è che la ricerca scientifica in ambito organizzativo possa fornire uno stimolo al cambiamento reale, dando forma a questo cambio di paradigma lavorativo che altrimenti rischia di rimanere un payoff pubblicitario, e nulla più.

 

In un recente articolo pubblicato su Frontiers in Psychology, un team di ricercatori (tra cui anche membri del dipartimento di Neuroscienze, Imaging e Scienze Cliniche dell’Università D’Annunzio, ente promotore del progetto “Osservatorio Smartworking e Fiducia nelle organizzazionie una ricercatrice Team Leader dell’Osservatorio, la dott.ssa Serena Iacobucci) hanno tentato di districare il rapporto che intercorre tra clima aziendale, tipologia di leadership, identificazione organizzativa e una serie di esiti lavorativi, tra cui la tanto auspicata e fausta fiducia.

Il modello ipotizzato dalle ricercatrici e dai ricercatori

 

 

Coinvolgendo lavoratori del settore pubblico e privato, lo  studio ha tentato di rispondere ad alcune domande chiave che anche il mondo manageriale si sta ponendo da tempo, con maggior forza in seguito alla lenta ma inesorabile “rivoluzione dello smart working”:

  • Come possono le organizzazioni incoraggiare atteggiamenti e comportamenti positivi dei dipendenti sul posto di lavoro?
  • Quali fattori favoriscono l’identificazione e l’impegno dei dipendenti nei confronti della propria organizzazione?

Negli ultimi decenni, lo studio dei processi organizzativi attraverso l’approccio dell’identità sociale ha contribuito in modo significativo alla nostra conoscenza di queste questioni rilevanti sia in ambito organizzativo che nella gestione delle risorse umane.

 

Lo studio in questione, nello specifico, ha delle grandissime implicazioni per i leader che stanno gestendo un team in smart working, proprio perché ha permesso di unire le intuizioni della teoria dell’identità sociale con due aspetti cruciali della vita organizzativa: il clima etico che caratterizza la specifica realtà aziendale e la leadership distributiva (vs. una leadership accentratrice e individualista).

 

La percezione di uno specifico clima etico, basata su una visione collettivistica e interdipendente della vita organizzativa, è in grado di aumentare l’identificazione con la propria organizzazione e questo, a sua volta, induce comportamenti pro-organizzativi (maggiore fiducia o maggior intenzione di fare passaparola positivo sulla propria azienda come datore di lavoro) e ne riduce altri, come l’intenzione di turnover.

 

Al contrario, quando il clima etico percepito si concentra su una maniera individualistica e indipendente di affrontare i processi organizzativi, i dipendenti si identificano in misura minore con l’organizzazione.

 

I ricercatori e le ricercatrici dimostrano, inoltre, che uno stile di leadership che fa leva sulla percezione dei dipendenti di essere attivamente coinvolti nelle attività di leadership e  nella gestione dei compiti va a rafforzare l’identificazione organizzativa, producendo a sua volta benefici in termini di atteggiamenti e comportamenti pro-organizzativi.

 

Questo significa che il passaggio da “controllo” a “fiducia” non è sono un bel concetto teorico, ma trova invece un riscontro non solo nell’evidenza empirica, e un risvolto pratico nelle realtà che si trovano a fare i conti con un team da gestire e guidare, anche (o forse soprattutto) in remoto.

 

Ma ora abbiamo bisogno di una guida pratica alla “costruzione” di fiducia, e la ricerca ci indica proprio questo: è possibile costruire un circolo virtuoso di fiducia grazie ad una leadership distributiva, alla responsabilizzazione del dipendente rispetto alle proprie attività da svolgere, nonché attraverso l’implementazione di un clima etico di natura collettivistica rispetto ad un clima di controllo e supervisione.

 

Significa abbandonare l’idea di supervisione? Assolutamente no. Ma avvicinarsi ad una leadership educativa, o leadership for learning, ci permette di rivedere le figure del leader in un’ottica più dinamica, permettendo una rivoluzione tout court delle sue competenze:

 

  • definizione di obiettivi organizzativi e pianificazione, lasciando al lavoratore la libertà di gestione del tempo, purché essi vengano raggiunti;
  • selezione di collaboratori competenti, in grado di autogestirsi o aperti alla formazione necessaria per sviluppare capacità di task-management;
  • monitoraggio delle prestazioni, con lo scopo di migliorare attuare azioni correttive e reiterative: un processo di feedback e confronto, e non più mero controllo delle attività svolte (o meno).

E non sono proprio queste le premesse alla base di una vera rivoluzione delle smart working?

Letture consigliate

Barattucci, M., Teresi, M., Pietroni, D., Iacobucci, S., Presti, A. L., & Pagliaro, S. (2021). Ethical Climate (s), Distributed Leadership, and Work Outcomes: The Mediating Role of Organizational Identification. Frontiers in Psychology, 11.

 

Di Monaco, R., & Pilutti, S. (2016). Scommettere sulle persone. La forza della leadership distribuita. EGEA spa.

 

Serpieri, R. (2007). Leadership distribuita. Cerini G., Spinosi M.,(a cura di), Voci della scuola, 6.

 

Smidts, A., Pruyn, A. T. H., & Van Riel, C. B. (2001). The impact of employee communication and perceived external prestige on organizational identification. Academy of Management journal, 44(5), 1051-1062.

Questo articolo è stato curato da Serena Iacobucci, dottoressa di ricerca in Economia Comportamentale per il Business, ricercatrice post-doc presso l’Università di Chieti-Pescara e responsabile della comunicazione di Umana-Analytics.

Per maggiori informazioni: iacobucci[at]umana-analytics.com

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